Ci ha lasciato lo scorso 20 ottobre Oriana Fioccone, fondatrice e componente storica del Gruppo Donne Uildm. Oriana aveva 54 anni, viveva in provincia di Asti, ha lavorato come insegnante nella scuola media per diversi anni fino a che l’insegnamento è diventato incompatibile con le sue condizioni di salute.
Ha curato le attività del Gruppo Donne per anni, collaborando alla redazione di testi e pubblicazioni, stimolando ogni giorno il dibattito sui temi della disabilità al femminile in modo profondo e attento, con il suo particolare sguardo capace di affondare fino all’essenza delle cose. La vogliamo ricordare coi nostri pensieri di amiche e compagne di viaggio.
Francesca
«Essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede tale coraggio, una sfida che non annoia mai.» Avevi scelto questa frase di Oriana Fallaci per raccontare di te nel profilo del Gruppo donne Uildm e del Gruppo eri la colonna portante sin dalla sua nascita nel 1998, che abbiamo condiviso crescendo poi insieme e confrontandoci su moltissimi temi. Cercavi di “proporre una visione di una donna uguale a tutte le altre, ma, nello stesso tempo, diversa da tutte le altre”, come avevi scritto ed era così che hai affrontato la vita. Insegnante appassionata, vicina ai tuoi alunni e attaccata al tuo lavoro che hai lasciato solo per colpa della salute, ma sempre restando insegnante nell’animo. Donna intelligente e solo apparentemente severa, perché dietro quell’aria composta e misurata si celava un senso dell’umorismo graffiante e per pochi.
Mi mancheranno i tuoi commenti sui programmi tv, le nostre infinite chattate nel gruppo di whatsapp, i racconti di una quotidianità fiaccata dalla malattia ma mai vinta, mai.
Ci hai insegnato il dovere di guardare in faccia i limiti e non negarli, di concederci il tempo per la stanchezza, la paura, il desiderio di dire “non ce la faccio” come atto di onestà intellettuale con sé, più che come resa.
In questa capacità di guardare la sofferenza negli occhi e affrontarla a testa alta sta la tua forza e l’eredità che noi amiche del Gruppo donne cercheremo di portare avanti ogni giorno.
Fulvia
Cara Amica Mia, dopo un lungo percorso intrapreso assieme, tante chiacchiere serali, risate e arrabbiature, battaglie e sconfitte è arrivato il momento in cui lasciarti andare. Percorrere una strada che, poi, non ti spaventava nemmeno tanto, "una strada in discesa", tu dicevi.
Ora, per sentirmi ancora vicino a te - concedimi qualche momento ancora - guardo in TV i programmi che guardavamo assieme e che su whatsApp commentavamo come fossimo fianco a fianco. L'attualità e la politica non mancavano mai tra i tuoi interessi; poi mi erudivi: perché io, di politica, capisco davvero poco!
Stavi anche battagliando per sostenere #liberidifare; quanto avresti voluto scendere in piazza con loro? Perché tu non hai mai smesso di combattere per i nostri diritti di autodeterminazione e autonomia, per una Vita Indipendente. Eri arrabbiata con la tua malattia, come darti torto, eppure, fino all'ultimo hai vissuto una vita piena nonostante essa.Te ne sei andata senza accorgerti di nulla, proprio come volevi tu; per me è l'unica consolazione possibile a contrasto del grande vuoto che sento nel cuore.
Mi mancherai tantissimo!
Ti voglio bene.
Silvia
Non sono mai stata brava, o coraggiosa, ad affrontare un evento luttuoso.
Tanto più se si tratta della scomparsa di un'amica che sentivi ogni giorno, con cui scambiavi confidenze, sfoghi e aneddoti divertenti. Oriana per me, per noi del GDU, era tutto questo. Avevamo talvolta due visioni
distinte del vivere la disabilità, ma in ogni caso lei è andata avanti sempre a testa alta e questo la rende una Donna bellissima e autentica. Sarà difficile andare avanti con la dura consapevolezza di non averla più
nella nostra quotidianità, ma io credo che, in qualche modo, lei ci sarà sempre a guidarci e ad ascoltarci. Basterà soltanto fermarsi un momento, chiudere gli occhi e aprire il cuore, piano piano...
Valentina
Scrivere qualcosa sulla morte di una persona a cui si è voluto bene è un compito ingrato.
Devo farlo, per ringraziarti del percorso fatto insieme, degli insegnamenti ricevuti in questo tempo che è volato in un soffio. Se penso a te, la prima qualità che mi sovviene è dignità, seguita dalla tua innata eleganza, di cui eri adorabilmente inconsapevole.
Avevamo età e condizioni di vita diverse, spesso confrontarmi con te mi scuoteva profondamente: tu non lo sapevi ma parlandomi della tua quotidianità, mi mettevi davanti ad eventualità future a cui non pensavo,
non volevo farlo. Tu mi hai insegnato la forza nella lotta per la sopravvivenza, ma anche il diritto sacrosanto di non accettare il dolore passivamente, la facoltà di dire “non ce la faccio, è troppo”.
Nell’immaginario attuale la disabilità è vista come una condizione di “normalità alternativa”, da elogiare. Tu mi hai ricordato che non negare le nostre fragilità e difficoltà, non ci rende meno disabili e conseguentemente più felici. Si può avere la dignità di vivere senza per forza fingere che tutto vada bene. Questo l’ho imparato grazie a te, amica mia preziosa.
Mi mancherà il tuo punto di vista, divergente ma più adulto.
Mi mancherai tu Oriana.
La tua amica Valentina
Vogliamo inoltre ricordare Oriana attraverso un suo significativo contributo alla dispensa «Ruoli imposti e ruoli negati», realizzata dal Gruppo Donne UILDM nel 2008.
Da te non me lo sarei mai aspettato!
di Oriana Fioccone
Questa è la frase che ho ricevuto da un mio collega l’altro giorno dopo aver pronunciato una considerazione (in effetti un po’ “carognetta”, lo confesso) nei confronti di un altro mio collega; a questo punto gli ho chiesto: “Cosa ti aspetti da me?”
E lui, un po’ titubante: “Mah, non so, ti immaginavo diversa, più… più…”
Al che io ho domandato: “Più innocente? Più buona? Più… angelica?”
“Ecco sì, proprio così… più angelica!” ha concluso.
Io ho ribattuto: “Allora non mi conosci bene.”
Ci risiamo… noi disabili siamo visti, o meglio dobbiamo comportarci da angeli, perché questo è quanto ci si aspetta da noi.
Ci si aspetta, ma noi dobbiamo adeguarci a quanto ci si aspetta?
L’incontro organizzato dal Gruppo donne della UILDM, durante l’ultima Assemblea, si intitolava “Ruoli imposti e ruoli negati”, l’argomento del seminario combacia a pennello con quanto mi è successo, quindi mi sono frullate in testa delle domande: bisogna accettare quanto ci viene imposto? Ma, sostanzialmente, che cosa ci viene imposto? E, di conseguenza, che cosa ci viene negato?
A qualcuno sembreranno domande scontate ed inutili: viene imposto e negato tutto quanto esce dai binari della “normalità”.
I “normali” conducono un’esistenza “normale”, hanno un lavoro “normale”, amano in modo “normale”, si formano una famiglia “normale”, hanno dei figli “normali”.
E tutti quelli che, volontariamente od involontariamente, “deragliano” da questi “normali” binari? Quelli che, per un motivo o per l’altro, vengono considerati “diversi”? Devono limitarsi a guardare e non cercare di entrare nel magico mondo “normale”?
Se dobbiamo essere concreti e guardare la realtà, molte cose sono cambiate negli ultimi anni, oggi ci sono stati riconosciuti molti diritti, soprattutto nel campo dello studio e del lavoro.
Una legge fondamentale, ad esempio, è la legge 104, che risale al 1992, ben (o solo, a seconda dei punti di vista) 16 anni fa. Ma ci sono ancora altri ambiti che rimangono preclusi, in cui nessuna legge può garantirci qualche diritto. Uno di questi è quello dell’affettività e della sessualità che non sembra riguardare i disabili: sì, a parole tanto ci viene concesso, ma nei fatti quante sono le persone che hanno il coraggio (e sottolineo il coraggio) di legarsi ad una persona “diversa”?
Non venite a parlarmi della bellezza interiore, perché, in questo mondo affascinato e abbagliato dall’esteriorità, pochissimi sanno e, soprattutto, vogliono cercare e trovare i pregi e, naturalmente, i difetti che rendono ogni essere, “normale” o “diverso”, veramente Speciale.
Gran parte delle persone che leggeranno questo testo, lo troveranno all’interno della dispensa prodotta dal Gruppo donne oppure nel sito dell’UILDM, forse, penseranno: “Ma cosa dice questa? Sono cose scontate!”
Proprio questo è un mio timore: noi, tra di noi, all’interno dei nostri gruppi, ce le diciamo queste cose, condividiamo questi pensieri, ci sembra tutto più facile, più logico, più scontato, ma all’esterno cosa esce, cosa passa? Non corriamo il rischio di “suonarcela e cantarcela” da soli?
Un pericolo nel quale potremmo incorrere non potrebbe essere quello di vedere come “diversi” gli appartenenti ai gruppi di “diversi”? Di creare tante piccole comunità chiuse verso le intrusioni esterne?
Probabilmente, se noi spiegassimo meglio i nostri desideri, i nostri bisogni, le nostre difficoltà, scopriremmo di avere tanti punti in comune e questo confronto sarebbe un arricchimento reciproco. Forse aprendoci prima di tutto tra noi “diversi”, riusciremmo ad avere una forza ed un’eco maggiori che ci consentirebbero di raggiungere traguardi comuni e di conquistare vittorie importanti, impiegando un tempo minore, perché quello che tutti, in fondo, chiediamo è di poter manifestare liberamente i nostri sentimenti, senza costrizioni o giudizi inibitori.
L’altro giorno un bimbo di due anni mi guardava incuriosito, mia nipote, di sei anni, non capiva perché lui mi guardasse, io le ho spiegato che per lui ero una cosa nuova, un po’ strana e lei mi ha chiesto: “Perché?”
Ecco, quando arriveremo al punto che non verremo più viste come persone strane, “diverse”, significherà che tra di noi non esisteranno più differenze e che saremo tutti Normali, senza virgolette e con la lettera maiuscola.